La risposta potrebbe sembrare semplice. Ma comincio ad avere dubbi che l’uso senza limiti della tecnologia sia davvero quello che ci serve adesso, tutti chiusi dentro casa per il lockdown da Coronavirus.
Intendiamoci, lo so benissimo che senza Houseparty l’aperitivo virtuale non si può fare, che Zoom ci ha finalmente abilitati allo smartworking, Disney+ è una figata e che i webinar su Webex sono l’unico modo che ci resta per imparare qualcosa (per ragazzi e adulti). Io sono un fan e assiduo utilizzatore di tutte queste tecnologie, anche e soprattutto di Slack e di Telegram.
E tutto questo va benissimo, perché connetterci con le altre persone è fondamentale, soprattutto durante quest’epidemia di Covid–19.
Eppure c’è qualcosa che non mi torna: perché dopo oltre un mese di lockdown mi sento sempre fermo al punto di partenza?
Dicono che cambiare il punto di vista, il frame, serva ad analizzare meglio la questione. Provo a farlo elencando qualche esempio.
Primo Esempio. In questo periodo leggo molti libri su carta – ne ho un sacco a casa pronti ad essere sfogliati e mai nemmeno iniziati – il che mi sta dando una soddisfazione inaspettata. Nel frattempo ho anche iniziato parecchi ebooks: non ne ho ancora finito nessuno.
Secondo Esempio. Provo a giocare con i videogame con i miei figli per condividere qualche momento di gioco con loro e perché mi diverte. Ma non è nulla in confronto alle chiacchierate a letto con Isabella o alla “lotta” con il piccolo Ettore.
Terzo esempio. Sto continuamente in videocall per motivi personali e lavorativi: mai come ora “vedo” così tante persone. Eppure le cose più importanti in questo periodo le ho concordate e decise al telefono. E nulla, adesso, è meglio di una telefonata con un vecchio amico.
Ora che siamo in lockdown, la fisicità primitiva e le tecnologie “analogiche” sembrano vincere sistematicamente contro le diavolerie più recenti. Sarà un caso? Non credo.
Penso che questo fenomeno abbia qualcosa a che fare con il bisogno di un ritorno alle funzioni basilari del nostro cervello e di creare qualcosa di tangibile per sentirsi appagati.
Il ritorno alle “origini” è facile da spiegare: la nostra fisicità è messa sotto assedio nell’era del distanziamento sociale. Ma siamo chiamati a resistere: siamo dotati di un corpo fisico e dobbiamo usarlo in tutti i modi possibili per sentirci vivi e non impazzire.
Invece il bisogno di essere “creativi” è più subdolo: nell’era dell’iperinformazione gli input dall’esterno sembrano infiniti. Ma forse in modo inconscio abbiamo capito che “guardare” i contenuti non ci basta più e per fare un uso soddisfacente delle tecnologie a nostra disposizione dobbiamo “creare” qualcosa di veramente nostro. Può essere un video, una foto, un disegno, una canzone o un post come questo. Guardare i post degli altri non ci basta più, il rischio è stare ore davanti agli schermi solo per sentirci svuotati.
Allora, i miei buoni propositi per il prossimo mese di lockdown saranno quelli di privilegiare la fisicità dove possibile – anche magari tornando agli appunti con carta e penna – e utilizzare le tecnologie a mia disposizione per creare nuovi contenuti di valore piuttosto che limitarmi a guardarli o leggerli passivamente.
E voi, che fate?
2 risposte su “La tecnologia ci fa davvero bene durante il lockdown?”
per chi ha iniziato la sua vita con calamaio, inchiostro e pennino (anni ‘50) é padrone della fisicità in tutti i sensi quindi abituato senza sacrificio a tutto ciò che é manualità non solo lavorativa mentre lo é meno con i mezzi tecnologici anche se con un po’ di impegno la mia generazione si é adeguata. Per concludere il mix dell’essere manuali+tecnologici ci rende invincibili, abbiate fiducia che é così
ci dovremo adeguare anche noi mitico Valter! Più penna e meno iPad! Daje ce la faremo